Druidismo: il flusso della Vita
Nebbia di parole
Parlare delle credenze religiose, spirituali, teologiche di popoli antichi non è cosa semplice, generalmente parlando. Se parliamo di Druidismo storico la questione diventa ancor più spinosa perché, come molti sanno, i Druidi antichi fecero una precisa scelta ideologica al fine di proteggere il loro sapere, ovvero quella di non porre nulla per iscritto - scelta a cui dovettero in parte ovviare nel momento in cui il mondo celtico si trovò ad impattare con la nuova religione del Cristianesimo. Il modo in cui i Druidi, a quel punto, scelsero di scrivere del loro sapere e del loro pensiero, fu però molto particolare: lo fecero principalmente attraverso narrazioni mitologiche, storie e leggende, in modo da poter occultare i concetti sotto la patina del folklore e del mito, spesso mischiato alla bisogna a elementi cristiani in modo da facilitare il vaglio della Chiesa. Così criptato, il sapere druidico che trapela dagli scritti (o quanto meno da quelli che ci sono arrivati, dato che molto probabilmente è andato irrimediabilmente perso) è ancora oggi oggetto di indagine e studio degli accademici, nel tentativo di filtrare e distillare la verità degli antichi Druidi dalla nebbia di parole in cui è stata celata.
Neo-Druidismo
Nel parlare di reincarnazione in relazione al Druidismo, dobbiamo per forza di cose tracciare una distinzione tra Druidismo storico e Neo-Druidismo, dato che il secondo non per forza o non sempre ricalca le credenze antiche, ma spesso attinge a correnti diverse, si ispira a filosofie lontane o successive rispetto al Druidismo storico.
Sebbene quindi alla base del Neo-Druidismo si mantenga una serie di assunti che provengono direttamente dalla dottrina druidica antica, una risposta unitaria in merito alla reincarnazione non è obiettivamente possibile, soprattutto dal momento che vari ordini druidici attuali sono aperti a persone di diversa provenienza e credo spirituale e religioso. La visione di un Druido cristiano, dunque, sarà molto diversa da quella di un Druido pagano o di un Druido che abbia conosciuto e interiorizzato - per esempio - la dottrina buddhista. Non potendo che dare una risposta basata sui grandi numeri, la maggior parte dei moderni Druidi crede nella reincarnazione, dopo un periodo che l’anima ha trascorso nell’AltroMondo. La reincarnazione può avvenire sia nuovamente in forma umana, ma anche animale o vegetale. Questa possibilità non porta però l’impronta selettiva o di giudizio che troviamo nell’induismo: il mondo druidico non considera le altre forme di vita come inferiori, anzi come vedremo più avanti, agli occhi di un Druida ogni cosa è parte di una rete di vita ed energia. Più probabilmente le diverse possibilità di reincarnazione trovano una spiegazione a monte nel complesso concetto di Necessità, ovvero in base a quale tipo di esperienza è necessario che un’anima compia.
Una metafisica raffinata
In materia di reincarnazione, le credenze dei Druidi del passato ci arrivano sia dalle tarde fonti scritte celtiche, soprattutto irlandesi, sia dalle fonti contemporanee per mano degli autori classici, che in molti, infatti, hanno affrontato l’argomento: tra gli altri Diodoro Siculo, Strabone, Lucano, Cesare, Pomponio Mela, Valerio Massimo, Timagene.
Quanto emerge dai resoconti degli autori classici è senza alcun dubbio la credenza dei Druidi nell’immortalità dell’anima, in genere unitamente ad una conseguente reincarnazione (o trasmigrazione o metempsicosi). Alcuni, come Cesare, supponevano che questa dottrina fosse motivata da retroscena di tipo pratico o strategico: una profonda convinzione di poter tornare in vita avrebbe reso i guerrieri sul campo di battaglia impavidi davanti alla prospettiva della morte. Ma per i Celti il coraggio non era qualcosa che si potesse imparare, bensì un valore intrinseco, tanto che nelle tradizionali tre calamità d’Irlanda, insieme a “un re bugiardo” e a “un Druido ignorante”, troviamo “un guerriero vigliacco”.
Sorgono invero diverse difficoltà nell’interpretare gli insegnamenti dei Druidi attraverso gli scritti classici, tanto che tutt’oggi non tutti gli studiosi moderni sono giunti ad una interpretazione unitaria e concorde. Parte del problema è insito nella forte possibilità che, già anticamente, le cronache classiche non fossero in grado di comprendere, interpretare e veicolare correttamente alcuni concetti del Druidismo. Questo per motivi ideologici, per abitudine a schemi di pensiero e filosofie di impianto completamente diverso, o persino per ragioni di arroganza e supposta superiorità: del resto, se da una parte dobbiamo ricordare che i sapienti dell’antica Europa e i filosofi greci apprezzavano e ammiravano la casta druidica e la sua profonda saggezza, definendo i suoi appartenenti niente meno che Semnotei (ovvero “coloro che parlano con gli dei”), dall’altra è spesso stata una precisa strategia dell’Impero Romano presentare come barbare e inferiori le popolazioni dei territori conquistati o da conquistare, il che può verosimilmente portare ad un atteggiamento di stampo paternalistico e impedire così una visione chiara e neutrale della questione dibattuta.
La parte cronologicamente più vicina a noi del problema interpretativo, è la fiducia che molti autori moderni hanno posto nelle parole delle cronache classiche del tempo, ma chiaramente basare una interpretazione odierna, a millenni di distanza, su affermazioni potenzialmente sbagliate già al tempo in cui furono stilate, difficilmente può portare ad un esito corretto.
Infine lo stile particolare, la struttura e la narrazione intricate della letteratura irlandese antica non aiutano a dipanare i dubbi, già che i testi celtici stessi richiedono profonda conoscenza e una capacità interpretativa specificamente sviluppata nell'ambito di indagine.
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Immagine di Finnbar Webster |
Reincarnazione o metamorfosi?
In molte pagine di storia, mitologia, epica e poesia del mondo celtico irlandese, troviamo narrazioni su personaggi che vediamo tramutarsi in diverse creature (non umane) in diversi archi temporali, a volte in pochi minuti, altre in mesi, altre ancora in intere ere della storia umana. Ai due estremi, in particolare, troviamo esempi veramente molto famosi all’interno della letteratura celtica, quali la storia di come Gwyon Bach, dopo essere sfuggito all’ira della dea Cerridwen, rinacque come Taliesin, piuttosto che il celeberrimo poema noto come il “Canto di Amergin” o la narrazione della lunga vita (o dovremmo forse usare il plurale) di Tuan Mac Cairill.
Immagine: Jemie Street per Unsplash
Questi tipi di eventi sono però da considerarsi casi particolari, per una serie di ragioni. Per prima cosa non per tutti possiamo parlare di reincarnazione, perché non si narra di alcuna morte di questi personaggi prima che si tramutino in altre forme, animali e non. Si tratta, piuttosto, di metamorfosi - shapeshifting in inglese. Fa eccezione la narrazione di Tuan Mac Cairill, che nel poema Leabhar Gabhala Éirinn (Il Libro delle Invasioni d’Irlanda) dichiara “Ho vissuto attraverso la Vita in molte forme. Sono stato uomo e bestia, mare e cielo. Sono morto e rinato molte volte, più di quante io possa realmente ricordare”.
Nessuna eccezione però sorge nel considerare un secondo dato importante, ovvero come questa capacità di mutare forma non sia mai indicata in alcun testo o fonte come norma comune a qualsiasi persona, ma il suo verificarsi riguarda soltanto personaggi molto particolari, uomini dalle qualità eccezionali, saggi, “illuminati”. Persone delle quali dunque sentiamo narrare nelle pagine appartenenti al mito, ed è possibile ipotizzare, come alcuni autori moderni hanno fatto, che queste trasformazioni siano simbolicamente indicative di un altro punto focale della dottrina druidica, che vedremo qui di seguito.
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Immagine dal Book of Kells |
Flusso e intreccio
Nel mondo celtico druidico è fondamentale il background di stampo animistico, caratterizzato nuovamente da concetti e sfumature molto raffinati. I celti non solo credevano che tutte le creature fossero parte di un’unica rete dell’esistenza, ma questa trama unitaria si estende al loro stesso concetto di creazione (ove si parla di Oran Mor, il Grande Canto o Grande Melodia, un costante flusso in movimento all’interno del quale ogni individuo, animato o inanimato, è allo stesso tempo creatore, creatura e creante, in una fitta compartecipazione al costante rinnovarsi del mondo e della realtà) e va a toccare persino la concezione della “sostanza” del mondo, tanto che i celti non tracciavano alcuna differenza tra Spirito e Materia, non consideravano in alcun modo l’uno più elevato e l’altra bruta, inferiore e da condannare. Piuttosto concepivano le due cose come contigue, parti necessarie e necessariamente in equilibrio, tra loro complementari e compenetranti, in un tessuto senza discreti, caratterizzato solo da diversa “densità”. Spirito e Materia venivano infatti considerati come fatti della stessa qualità, solo con diversa corposità e concentrazione, anticipando così in modo sorprendente la scienza moderna nella concezione di energia e vibrazione.
Troviamo una rappresentazione di queste idee nell’affascinante arte celtica, fatta di intrecci complessi e nodi infiniti, dove figure antropomorfe si mischiano con tralci vegetali e corpi animali in un decoro unitario, compatto, intricato eppure armonioso, come una danza.
Queste nozioni, rispetto alla nostra indagine in merito all’immortalità e alla reincarnazione nel mondo druidico, ci suggeriscono una diversa chiave di lettura, esplorata da alcuni degli studiosi più attenti: quando analizziamo questi personaggi particolari e di notevole levatura spirituale che abbiamo visto sopra, più che di reincarnazione dovremmo forse intendere le trasformazioni narrate come la percezione consapevole di diversi e molteplici stati di coscienza e stati dell’essere, quasi come se l’individuo percepisse coscientemente la continuità e l’unità della sua esistenza con quella di tutti gli altri esseri, ciascuno inserito nella trama infinita della Vita.
Immortalità e AltroMondo
Una lettura più attenta e analitica delle fonti classiche e che sappia superare il filtro delle interpretazioni date dagli autori latini, ha portato molti studiosi a noi contemporanei ad un’altra possibile interpretazione. Nelle fonti si dice che la morte è soltanto il punto mediano di una lunga vita e si parla di una rinascita “altrove”, senza che questo “altrove” sia meglio specificato, e non è dunque ravvisabile alcun elemento certo che fornisca una conferma definitiva di dottrina simile a quelle orientali del buddhismo o dell’induismo in merito alla reincarnazione. Questo “altrove” è, con ogni probabilità, davvero l’AltroMondo che spesso troviamo descritto nelle fonti irlandesi: un luogo non-luogo, fuori da tempo, collocato sotto le colline delle fate (i cairn, le tombe a tumulo) o nelle isole Oltre la Nona Onda, quelle isole a ovest delle coste europee, conosciute con innumerevoli nomi: Tir na mBeo (Terra dei Viventi), Tir na nOg (Terra dei Giovani), Tir na mBan (Terra delle Donne), Mag Mor (Grande Pianura). Terra di perfezione e abbondanza, dove non vi sono più differenze sociali e tutti sono immensamente saggi, una terra di pace (non a caso, la parola più nota che indica questo luogo, Sidh - pron. shee -, tradotta letteralmente significa proprio “pace”). Un luogo perfetto, ma non eterno: nella concezione del costante flusso e movimento della metafisica druidica, l’eternità statica sarebbe una contraddizione. In questo AltroMondo perfetto non esiste la morte, eppure ad un certo punto le anime lasciano anche quel luogo…
Per andare in un altro “altrove”, dato che i mondi possibili sono infiniti e le porte tra essi sempre aperte. Questo diverso “altrove” potrebbe essere nuovamente la realtà terrestre, ipotesi che potrebbe infine confermare la reincarnazione? A questo non è data risposta, ma in fondo non dobbiamo mai dimenticare come i Druidi abbiano sempre posto molta cura nel celare le verità della propria dottrina a chi non ne fosse degno...
(articolo originariamente pubblicato sulla rivista Sirio del 10 aprile 2020)
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