Kumalak: il futuro dal passato delle steppe
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Foto di mia proprietà |
In nome di un’assoluta correttezza devo dichiarare fin da subito di non essere un’esperta di Kumalak (o Qumalaq), così come di nessun metodo divinatorio. Non utilizzo la divinazione con particolare assiduità, e anche se con alcuni metodi ho un legame particolare e ne colgo lo spirito, non arrivo a conoscere a memoria ogni significato che porti poi al responso.
Il Kumalak è però qualcosa che fin da subito mi ha colpito e appassionato e dietro ciò c’è una piccola storia personale. Correva l’anno 2010 e mio marito aveva da poco terminato una trasferta di sei mesi ad Atyrau, in Kazakhstan, sul fiume Ural, che poco più a sud si getta nel Mar Caspio. Atyrau è ben lontana dalla capitale Astana, non solo geograficamente: è una città povera, in fase di industrializzazione, vi si trovano molti uffici di ingegneria del settore Oil & Gas e in generale non offre molto. Conoscendo la mia passione per il mondo sciamanico e tradizionale, mio marito è riuscito a trovarmi un piccolo oggetto di artigianato locale, estremamente semplice, non certo di alto grado artistico, ma che io ho trovato meraviglioso: un’assicella in legno, intagliata in modo grossolano con un soggetto che ho subito riconosciuto provenire da un passato tradizionale molto antico, quello sciita, la cui arte spesso rappresentava grandi felini che cacciano cervi o alci.
Poco dopo il ritorno definitivo di mio marito dalla trasferta, mentre cercavamo piccoli tesori in una libreria “remainders”, mi sono imbattuta in questa scatola, edizioni Il Punto di Incontro, ancora prezzata in lire, con scritto “Kumalak, lo Specchio del Destino - Esaminare il passato, presente e futuro con l’antica saggezza sciamanica del Kazakhstan”... AH! Questo ritrovamento non avrebbe potuto risuonare di più, perché - lo sappiamo - il caso non esiste!
Lasciate, dunque, che vi accompagni in una digressione tra storia, fascino e la poesia di lande sconfinate...
** Se volete rendere la lettura di questo articolo "multimediale" vi consiglio come colonna sonora le seguenti tracce su YouTube:
Foto di Patrick Schneider da Unsplash
Un passato vasto come la steppa
Immaginate una notte dal cielo perfetto, profondo e infinito come il mare di erba che si culla nel vento. Una notte nelle steppe dell’Asia, prima che i confini dell’uomo dessero alle terre i nomi che conosciamo oggi: Kazakhstan, Kyrgyzstan, Mongolia, verso la Siberia a nord est e poi verso ovest, a lambire il Mar Nero. Un accampamento nomade di yurte (Ger in lingua mongola), i cavalli che brucano sotto le stelle, un fuoco acceso. Le persone attorno al fuoco fumano cannabis e bevono kumis (una bevanda alcolica ricavata dalla fermentazione del latte di giumenta, dissetante e nutriente).
Queste persone sono Sciti, abitarono un vasto territorio euroasiatico dall’VII secolo B.C.E. fino al II sec C.E.: tra i loro sottogruppi troviamo per esempio i Sarmati, resi famosi al grande pubblico dal discusso film King Arthur. Conosciuti dai Greci e dai Latini, che per loro provavano sentimenti contrastanti, dato che li temevano, li disprezzavano ma ne erano anche affascinati e che collocavano in loro territorio genericamente a nord est del Mar Nero, di loro si narravano e si scrivevano storie e leggende. Tra le più famose - e oggi in parte confermate - quelle sulle Amazzoni. Il mitico popolo di donne guerriere a cavallo altro non erano che le giovani donne degli Sciti, che portavano i pantaloni, erano spesso ampiamente tatuate (alcune teorie suppongono che il numero di tatuaggi fosse indice del grado sociale), combattevano affiancando gli uomini, a cavallo e usando l’arco sciita, un arco corto e potente.
Foto dal sito http://www.chinggistours.com/39/sitem - crediti sull'immagine ma illegibili
Nonostante la storia politica degli Sciti sia frammentaria nelle fonti e difficile da ricostruire dalle cronache e dagli storici del tempo, conosciamo via via sempre meglio lo stile di vita di questo popolo antico e misterioso grazie agli scavi archeologici, soprattutto a partire dagli anni ‘90 del Novecento, che hanno ritrovato, per esempio, il sito sepolcrale della Principessa dei Ghiacci, nota anche come Principessa Ukok (dal nome della piana dove si trova il sito): nomadi, commercianti e guerrieri, abilissimi nel lavorare il cuoio, i metalli e l’oro, col passare dei secoli gli Sciti si sono “diluiti” nelle culture nomadi delle steppe che conosciamo oggi, lasciando dietro di sè impronte culturali di varia natura, nell’arte, nella cultura, nelle tradizioni.
Cosa ha a che fare, tutto questo, con il Kumalak?
Foto di mia proprietà - riproduzione di un manufatto Sciita
Steppe, cavalli e pecore
Il quadro che abbiamo appena tracciato è il probabile background storico del Kumalak, anche se qualche fonte sostiene che il Kumalak sia stato portato in Asia dal Medio Oriente. Ciò che invece più mi fa pensare che gli antichi e affascinanti Sciti siano il quadro di riferimento a cui guardare (parere assolutamente personale) è l’immagine alla base della struttura stessa dello schema del Kumalak: un quadrato a nove comparti, come lo schema per giocare a tris. Nella visione a mio parere molto poetica del Kumalak, si immagina che la figura di un cavaliere a cavallo visto frontalmente si sovrapponga ai nove quadrati, andando così ad ottenere questo:
La cultura nomade asiatica si fonda totalmente sul cavallo, non è pensabile senza questo animale, necessario agli spostamenti, al traino, alla guerra (in antichità), alla caccia con l’aquila (sono stati i popoli delle steppe asiatiche ad aver “inventato” la falconeria, basi più tardi riprese da Federico II di Svevia, sul cui trattato si basa la moderna falconeria), così come a spostare gli armenti, dato che la pastorizia delle steppe è principalmente votata all’allevamento di pecore.
foto di Daniel Kordan
Gli elementi essenziali del Kumalak
Questo dato relativo all’allevamento degli ovini, ci porta ad un altro elemento costitutivo del Kumalak, dato che il nome nella lingua d’origine di ceppo uralo-altaico (anche nella sua espressione più ampia “qiriq bir qumalaq”) significa letteralmente "escrementi secchi di pecora" (è troppo un tonfo di stile confessarvi che in casa mia il Kumalak è chiamato affettuosamente “cacchine”...?). Escrementi di pecora essiccati erano infatti uno dei materiali utilizzati per “comporre” i 41 grani essenziali per l’oracolo. Ma era possibile anche utilizzare sassolini, fave o fagioli, tanto che nelle mie ricerche ho trovato tracce di metodi di divinazione con i fagioli arrivati fino ai nostri giorni e diffusi nell’Est Europeo. Sebbene questi metodi si differenzino dal Kumalak per come viene fatta la “gettata” e persino nel colore dei fagioli, che può cambiare a seconda dell’età del vaticinante, non è del tutto improbabile che vi sia qualche lontano collegamento all’antico Kumalak, dato che svariate popolazioni sciite e asiatiche (gli Unni) si sono addentrate a fondo in territorio europeo, lasciando diverse tracce (penso per esempio a stile, colori e decori nell’arte e negli abiti tradizionali, ma anche nella mitologia, in particolare in Ungheria e dintorni).
Enumerato tra i metodi di divinazione geomantica, il Kumalak è molto essenziale, infatti oltre ai 41 grani serve solo lo schema a nove riquadri: come potete immaginare, anche nei tempi antichi, questo poteva essere semplicemente disegnato sul terreno e lo sterco di pecora recuperato facilmente: il resto si basa sulla conoscenza ed esperienza del vaticinante nel saper leggere le combinazioni numeriche e da quelle il responso.
Attualmente la provenienza del Kumalak viene indicata tra Kazakhstan, Kyrgyzstan e Mongolia, ma nulla vieta che anticamente fosse anche più diffuso, data l’estensione del territorio sciita.
Per molto tempo la consultazione del Kumalak, così come tutte le pratiche sciamaniche, è stata vietata ed ha rischiato di scomparire: prima per le imposizioni dell’Islam (XVII° sec), in seguito dal regime dell’ex Unione Sovietica (sotto il quale in tutta la Siberia furono distrutti e bruciati innumerevoli tamburi degli sciamani). Oggi questa tradizione è tornata a comparire nei mercati e nelle piazze del Kazakhstan.
Foto di Marek Gawecki (1998), dal sito www.researchgate.net
Sciamani Baksy e Qumalaqshi
Ma chi sono, tradizionalmente, le figure che possiedono la conoscenza che permette di leggere le combinazioni di questo antico sistema?
Nel testo allegato al set e scritto da Didier Blau viene indicato il nome del Balcha, lo sciamano della tradizione kazaka, il cui strumento tradizionale non è il tamburo (come nella grande maggioranza delle tradizioni sciamaniche), ma un rudimentale strumento a corda detto kobiz. Nel testo si cita anche come il nome dello sciamano sia etimologicamente legato all’antico nome del Kumalak, ovvero Bahl. Ma in altre fonti ho trovato ulteriori e diverse informazioni. Pare infatti che tra Kazakhstan a Kyrgyzstan gli sciamani si distinguano tra Baksy (o Bakshi) e Tawip/Tabip, dove i primi sono coloro che detengono poteri rari e straordinari, mentre i secondi hanno poteri più flebili e in genere tra costoro troviamo gli indovini, che possono anche prendere la definizione di “qumalaqshi” ovvero colui che legge il Kumalak.
Sciamano kazako con il suo kobiz in una foto del 1920
Nel corso della ricerca che ho compiuto non ho potuto che lasciar sorgere un dubbio: possiamo davvero, noi occidentali, pensare di avere accesso alla sapienza di un metodo divinatorio così antico e lontano da noi nel tempo e nello spazio? La domanda sorge dall’aver trovato diversi riferimenti al fatto che l’addestramento degli sciamani per imparare a leggere correttamente il Kumalak durava anni. Ma non solo questo: in Kazakhstan si crede che il Kumalak apra le porte degli altri mondi e metta in comunicazione con gli antenati. Per questo, per far sì che lo sciamano possa comprendere a fondo il responso, prima della divinazione sistema i 41 grani davanti a sé e li appoggia uno ad uno sulla propria fronte, così da attivare il terzo occhio ed entrare in comunicazione profonda con essi. Dopo questa operazione lo sciamano pronuncia delle formule tradizionali finchè uno Spirito non si rende disponibile ad agire nel Mondo di Mezzo fornendo risposte alle domande, muovendo i grani di conseguenza: si dice infatti che gli sciamani davvero esperti nella lettura del Kumalak siano in grado di vedere i grani muoversi da soli, ma che questo non sia possibile ad un occhio non addestrato.
In alcune fonti si consiglia di leggere il Kumalak solo quando il sole splende ancora nel cielo, perché la notte è il regno delle ombre. Bisognerebbe non indossare oggetti di metallo ed essere il più possibile in armonia con la natura e gli Spiriti, quindi non solo non bere e fumare durante il consulto, ma sapersi mettere a nudo, con sincerità e calma profonda.
Il Kumalak è molto apprezzato per la sua precisione nel rispondere a domande specifiche, ma è possibile consultarlo anche per domande ampie e generali, che possono essere poste in qualsiasi modo: scritte o parlate, pronunciate o anche solo pensate.
I numeri nel Kumalak
Nella tradizione kazaka i numeri hanno un ruolo importante, alcuni di essi sono legati agli elementi e altri incarnano legami con il “caso”, lo stesso numero dei grani, 41, è un numero sacro, rappresenta l’anno kazako e l’inizio di un nuovo periodo.
UNO: il numero uno è associato al fuoco e alla scintilla che lo accende, ai lampi, alla stella della sera. Indica azione, chiarezza, e lotta.
DUE: il numero due è associato all’acqua, che sia fiume, pioggia, stagno - o lo specchio di un lago gelato. Il numero due indica il lato destro e sinistro, il bene e il male: la sua doppia polarità rappresenta tensione e squilibrio.
TRE: il numero tre è collegato all’aria come vento, brezza e tuono, simboleggia inoltre i tre regni della natura (animale, vegetale e minerale) e i tre ambienti del Kazakhstan: la foresta e i laghi del nord, l’immensa steppa dell’entroterra e i sabbiosi deserti del sud. Inoltre è legato ai tre ceppi di popolazioni del Kazakhstan. Di conseguenza il tre simboleggia viaggi, incontri e l’unione delle forze
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Foto di proprietà di Mountaineering and Sport Climbing Federation of Kazakhstan |
QUATTRO: numero associato ai quattro punti cardinali, al cui centro si erge la montagna sacra Ouly-Taou. L’elemento corrispondente è la terra, dalla quale nasce l’erba, che nutre le pecore che procurano carne, latte e lana. Il numero quattro è dunque benessere materiale e possedimenti. Ma il quattro ha anche un aspetto oscuro, perché la terra è l’elemento che ricopre i morti e la sabbia forma violenti turbini durante le tempeste.
Vi sono poi altri numeri sacri che vengono riconosciuti nelle letture del Kumalak attraverso somme in linea o in diagonale all’interno dello schema, quali il sette, il nove, il dodici. A questi numeri sono associati presagi particolari che vanno ad arricchire la lettura del responso. Oltre a ciò, alcune delle combinazioni possibili sono considerate molto speciali, come quella che vede tre singoli grani in tre caselle centrali in fila o la combinazione 48, l’ultima, detta “Madre Terra” il miglior presagio del Kumalak in termini di realizzazione, felicità e successo.
La griglia del Kumalak
Come dicevamo prima dobbiamo pensare che lo schema del Kumalak sia l’immagine frontale di un uomo a cavallo: a seconda delle combinazioni numeriche nelle varie caselle, sapendo che ad ogni numero tra l’1 e il 4 corrisponde un elemento, otteniamo le tipiche definizioni delle letture (che sono tutte codificate per un totale di 48 diversi tipi di combinazioni sulle tre righe), come “Fuoco nella testa, sabbia negli occhi” o “Acqua nel cuore, vento nelle mani” ecc.
I nove riquadri della griglia vanno naturalmente a formare tre file, in alto, mediana e in basso. Ciascuna rappresenta una parte della lettura in termini temporali, non diversamente che per certe stese dei tarocchi:
La PRIMA FILA descrive il passato e la sua influenza sul presente, implica lo stato mentale, le energie e le aspettative del richiedente.
La SECONDA FILA indica il presente, le esperienze in corso e le sensazioni del richiedente, il suo stato materiale e non.
La TERZA FILA riporta le tendenze per il futuro, una finestra sullo sviluppo della situazione, fornisce risposte, pronostici e un consiglio per come porsi e comportarsi.
L’ordine da seguire per disporre i grani che vengono via via suddivisi (vedremo tra poco come) è il seguente:
Prima di procedere alla suddivisione dei grani è bene concentrarsi adeguatamente per porre la domanda - personalmente lo faccio dopo aver preparato il telo dello schema davanti a me e averci posto sopra i grani: a quel punto stendo su di essi la mano sinistra e mi focalizzo sulla domanda.
Per prima cosa è necessario dividere il mucchietto di grani in tre parti totalmente casuali. Ora da ciascun mucchietto così ottenuto, partendo da quello a destra, si vanno togliendo quattro grani alla volta, fino a che ne rimangano uno, due, tre o quattro: i rimanenti vanno posti nella prima casella. Si procede allo stesso modo per il mucchietto in mezzo e si collocano i grani rimanenti nella casella 2. Ancora si fa lo stesso per la casella 3.
Prima di passare alla fila di mezzo, si rimettono insieme i grani “scartati” si dividono nuovamente in tre mucchietti casuali e si procede come descritto sopra per le caselle 4,5,e 6. Esattamente lo stesso si fa per l’ultima fila e le caselle 7,8 e 9.
Per le prime volte, per essere sicuri di non aver sbagliato a contare, ci sono alcune somme che si possono fare per riscontro: la somma dei grani della prima fila deve dare 5 o 9; per la seconda fila 4, 8 o 12; per la terza fila nuovamente 4,8 o 12.
Non rimane che riconoscere le tre combinazioni fila per fila e trarne il responso come da tradizione.
Il materiale necessario per comporre un oracolo Kumalak è estremamente semplice ed essenziale, è possibile fare diversi tentativi con materiali vari (semi, fagioli, sassolini… o cacchine essiccate di pecora se proprio volete!) per trovare quale “funzioni” meglio con voi. Il problema sorge con le combinazioni per il responso, che non ho trovato riportate da nessuna parte se non nel testo citato all’inizio dell’articolo che - da quanto ho potuto capire - è al momento fuori catalogo.
Non è affatto semplice rintracciare informazioni sul Kumalak che non siano copiate dal libro in mio possesso: ho trovato qualche testo inglese, qualcuno in tedesco, qualche riferimento in saggi di antropologia, ma sempre cenni davvero esigui. Probabilmente esiste maggior ricchezza di materiale in lingua russa, ma ovviamente l’ostacolo linguistico non mi ha permesso di accedervi. Nonostante ciò, ho tentato di regalarvi qualche briciola di suggestione e di fascino del passato di questo sistema antico e misterioso, come le steppe e i popoli che da secoli le abitano: spero abbiate potuto apprezzare questo viaggio quanto me.
BIBLIOGRAFIA:
- "Kumalak - lo specchio del destino" di Didier Blau - ed. Il Punto d'Incontro
- "Muslim Turkistan: Kazak Religion and Collective Memory" di Bruce Privratsky (Google Books)
- "The Way of the Shaman and the Revival of Spiritual Healing in Post-Soviet Kazakhstan and Kyrgyzstan" di Danuta Penkala-Gaweta (www.researchgate.net)