Sciamanesimo moderno e nuova coscienza ecologica - parte 2
(articolo pubblicato per la prima volta sulla rivista Sirio del 12 aprile 2019)
L’uomo connesso: la biofilia
Proprio a partire da questa propensione a vedere la natura come vivente, connessa e consapevole in ogni suo aspetto, possiamo considerare l’apertura di chi pratica sciamanesimo verso l’ecologia nelle sue varie declinazioni, attraverso una rinnovata spinta che, da una parte, risponde ad un bisogno umano innato e, dall’altra, cerca probabilmente una redenzione ed una soluzione allo strapotere dell’ingombrante presenza umana e dei danni da essa recati all’ambiente nell’epoca moderna, tanto da trovare ormai la definizione di antropocene (termine coniato negli anni Ottanta dal biologlo Eugene F. Stoermer e ripreso poi nel 2000 dal Premio Nobel per la chimica Paul Crutzen nel libro “Benvenuti nell'Antropocene”).
Con buona probabilità, alla base dell’animismo, risiede la costante osservazione della natura da parte dell’uomo, fin dagli albori della sua presenza sulla terra. Osservando la natura l’uomo ha potuto imparare, orientarsi nell’ambiente, comprendere le stagioni ed ha assegnato ad ogni aspetto naturale una componente animata e divina (che noi oggi chiameremmo sovrannaturale, ma che invece – evidentemente – è assolutamente naturale). Oltre alle numerose conseguenze di stampo antropologico di questa pratica di osservazione nei confronti della natura, vi sono state altre conseguenze di tipo biologico e psicologico, che oggi si riuniscono sotto il termine biofilia, dal greco letteralmente “amore per la vita”. Biofilia è un termine che racchiude in realtà una lunghissima storia genetica, una storia che racconta di come si sia arrivati alla specie umana attuale, attraverso innumerevoli passaggi di cui ancora oggi portiamo le tracce nel nostro DNA. Dunque con questo termine, biofilia, è possibile indicare sia il nostro rapporto biologico e genetico con la natura in quanto specie umana, sia in termini più ristretti, il nostro rapporto psicologico di singoli individui con la natura.
Tutti noi, quindi, nasciamo con una predisposizione genetica che ci attrae verso la natura, perché del resto ne facciamo parte, come ogni altra specie sul pianeta, ed una predisposizione ad imparare cosa è necessario alla nostra sopravvivenza. Non è una questione istituale e meccanica però, è qualcosa di organico, che ci permette di imparare adattandoci all’ambiente e alle situazioni in modo da plasmare le nostre deduzioni anche in base all’esperienza. Naturalmente l’esperienza cambia da individuo a individuo ed è influenzata dai diversi ambienti che fanno cornice, dalle epoche e tutta una serie di variabili. Il fatto, dunque, che questa predisposizione possa emergere e prendere forme concrete e possa soprattutto acquisire un ruolo consapevole nel percorso di vita di un individuo, non è un processo automatico o scontato. Serve infatti un percorso biografico che ci metta in corretta relazione con la natura in questi termini e ci permetta di sviluppare un particolare tipo di intelligenza che gli studiosi indicano come “intelligenza naturalistica”.
Lo Sciamanesimo moderno può invertire la tendenza
Per l’essere umano è normale imparare a conoscere e apprezzare l’ambiente a cui viene esposto e al quale dunque si abitua, il che significa che per sviluppare la necessaria intelligenza naturalistica, che porta sia tratti di tipo cognitivo che di tipo emotivo-effettivo, è necessaria una certa esposizione ed educazione. In un mondo sempre più fortemente urbanizzato e caratterizzato da un progressivo impoverimento della biodiversità e degli spazi fisici naturali, ogni generazione precepisce come “Natura” solo quella che ha potuto ereditare e della quale ha esperienza. Innumerevoli studi dimostrano come lo iato sempre più ampio tra uomo e natura risulti in un conseguente progressivo impoverimento delle esperienze e delle potenzialità di sviluppo della nostra psiche. Sul lato opposto di questa situazione, un importante corpus di ricerche ci mostra quali siano gli effetti positivi del tempo trascorso in natura in termini di salute fisica e psichica.
Le persone fortemente urbanizzate, che ovviamente godono della minore esposizione ed educazione al mondo naturale, sono quelle che di conseguenza mostrano di essere le più refrattarie al contatto con la natura, perché assuefatte all’ambiente urbano. Ma è proprio in questo frangente che lo sciamanesimo moderno può porsi come componente che consente una inversione di tendenza: chi pratica sciamanesimo possiede una propensione a guardare alla natura sotto una prospettiva privilegiata. Può essere qualcuno nato in ambiente rurale che con lo sciamanesimo impara ad apprezzare altre sfumature spirituali della natura, o qualcuno nato in ambiente urbano che, per profondo bisogno spirituale e attraverso lo sciamanesimo, ricerca un nuovo contatto consapevole con la natura come entità (animismo). I casi possono essere innumerevoli e diversi, così come diversi e unici sono i percorsi di vita e spirituali di ciascuno: quello che si può riscontrare in tutti i praticanti di neo-sciamanesimo è un’attenzione e una considerazione per la natura che emergono in modo primario e non certo solo da un punto di vista spirituale, dato il sostrato animistico che va a chiarire come il fattore spirituale e fisico siano intimamente fusi e, in definitiva, indissolubili.
Negli ultimi passaggi ci appoggeremo ad una visione scientifica del rapporto uomo natura - dato che proprio questo rapporto è il primario oggetto di studio dell’ecologia - attraverso l’opera di un biologo. Nel suo interessantissimo volume “Ecologia affettiva” il prof. Giuseppe Barbiero fornisce un’idea complessiva di cosa si intenda per intelligenza naturalistica: “L’intelligenza naturalistica richiede un’abilità sensoriale sviluppata, con la quale percepire gli oggetti, una capacità di ragionamento logico, che permette di distinguerli e di classificarli, una particolare sensibilità emotiva verso ciò che è ‘naturale’ e, infine, una certa sapienza esistenziale che consente di legare insieme tutte queste qualità. Un’intelligenza naturalistica particolarmente sviluppata permette di interagire a livello sottile con le creature viventi ‘non umane’, creando il legame emotivo necessario per prendersi cura di loro.” Questa descrizione, soprattutto nella sua chiusa, potrebbe benissimo adattarsi ad un moderno praticante sciamanico, ma più avanti nello stesso volume si trova un passaggio illuminante in questo senso: “La perdita di contatto con la Natura corrisponde alla perdita di contatto con quelle zone della psiche dove si agitano le nostre forze più inquietanti e misteriose. Nel Paleolitico, l’Uomo ha imparato a conoscere gli animali, le piante, i minerali, a individuare le proprietà utili e a studiare le valenze simboliche. Ha raccontato storie, creato canzoni, inventato strumenti per suonare e nuovi passi di danza per celebrarle, costruendo miti e leggende che rieccheggiano ancora nei nostri cuori. Abbiamo bisogno di recuperare il contatto fisico e psicologico con la Natura. Ma non siamo degli sprovveduti. Fortunatamente abbiamo a disposizione molti modi per riprendere quel contatto. Uno dei pià antichi, e più collaudati, è l’acquisizione di uno stato mentale di mindfulness. Mindfulness, letteralmente, significa pienezza mentale, nel senso di consapevolezza di noi stessi e del mondo che ci circonda. Una consapevolezza che può essere declinata in senso ecologico” In questa citazione troviamo, nella prima parte, uno scorcio di quel mondo antico all’interno del quale è nata una spinta spirituale, incarnatasi nell’animismo e nello sciamanesimo. La declinazione di mindfulness come consapevolezza di noi stessi e del mondo che ci circonda, infatti, non è che la visione della rete dell’esistenza cui si è accennato sopra. Nello sviluppare il discorso di come sia necessario trovare un modo per armonizzare il mondo selvatico (non selvaggio) dentro e fuori di noi, l’autore giunge ad un ultimo passaggio che esce dal fattore puramente scientifico per agganciarsi a quello spirituale con un movimento di elegante fusione, proponendo la visione di un nuovo Uomo non più dominatore ma “giardiniere rispettoso e responsabile, che ha recuperato la propria selvaticità e combattività e le mette al servizio di Gaia in un rapporto consapevole e coadiuvante. La scienza da sola, però, non basta. Abbiamo bisogno di una motivazione forte, una motivazione religiosa. E per religione non intendo necessariamente le religioni istituzionalizzate. Intendo la capacità di ‘legare le cose’ e dare loro un significato. La religiosità è profondamente umana e nulla può sopprimerla. La religiosità emerge dall’abilità umana di trascendere il proprio ego e percepire una realtà più grande e fondamentale. Abbiamo una predisposizione ad apprendere idee religiose e la religiosità potrebbe essere innata come la biofilia”. Se si va a a sostituire il termine “religione” con quello più ampio e antico di “spiritualità”, è possibile scorgere la definitiva armonizzazione con il nostro discorso: il neo-sciamanesimo è in grando di stimolare, sviluppare e supportare una rinnovata coscienza ecologica, che può passare in modo fluido da aspetti scientifici a spirituali grazie ad una consapevolezza unitaria di sostrato, che va a toccare corde profonde certamente emotivo-affettive antiche, ma anche razionali e moderne.
